Il decreto milleproroghe è stato approvato il 27 dicembre 2013 dal consiglio dei ministri e verrà discusso in Senato il 2 gennaio 2014. Il principio della “web tax” già anticipato in precedente articolo rispetto a prima è stato modificato. Non è più applicabile a chi svolge commercio elettronico (diretto o indiretto) in Italia ma la necessità di ottenere la partita Iva Italiana in questa ultima versione è rivolta solo a chi svolge servizi di pubblicità on line anche attraverso centri media ed operatori terzi ed indirettamente al diritto d’autore e pertanto oggi qualcuno la definisce anche “spot tax”. Al contempo l’entrata in vigore della norma è slittata al 1° luglio 2014. On line dilagano i commenti sulla web tax ma pochi ne trattano con competenza e discernimento. Come di consueto, cercherò di essere il più “imparziale” possibile nella valutazione dei pro e dei contro di questa ipotesi di tassazione (ricordo che al momento la norma non è ancora in vigore). Dal punto di vista operativo le società italiane non potranno acquistare servizi pubblicitari da siti web che verranno visionati in Italia attraverso rete fissa o rete e dispositivi mobili, a meno che gli stessi non siano dotati di partita Iva Italiana. Gli effetti interni potrebbero essere ad una veloce analisi: 1) introiti fiscali per l’Italia: le grandi multinazionali che operavano in Italia ma che pagavano le imposte in Paesi con fiscalità ridotta (e comunque non in Italia) per i profitti incassati dall’Italia ora dovrebbero decidere se rinunciare al mercato italiano o aprire una posizione Iva per contribuire a pagare le imposte in Italia per i profitti ivi introitati (su questo punto si veda oltre); 2) aumento potenziale prezzi pubblicitari per la pubblicità visualizzata in Italia: le aziende Italiane potrebbero non comparire più nella pubblicità di siti web stranieri noti a livello internazionale che decidessero di non puntare più sul mercato italiano proprio per effetto della norma. La restrizione del mercato potrebbe causare potenzialmente effetti distorsivi sui prezzi delle aziende operanti nel campo pubblicitario dotate di partita Iva in Italia, tentate di applicarli al rialzo (le stesse multinazionali è probabile che scarichino parte dei costi derivanti dalla dotazione di partita Iva italiana su chi visualizza la pubblicità on line in Italia); 3) aumento dei collegamenti via satellite per connettersi ad internet: la norma pare dimenticare la connessione internet via satellite e dunque è lecito pensare che chi si colleghi via satellite sia esentato dall’applicarla. Uno dei primi aspetti dei quali avevo già posto l’attenzione è invece il risvolto Iva. L’imposta sul valore aggiunto a livello comunitario attualmente prevista sui servizi prestati per via elettronica è dovuta nel paese di destinazione quando: 1) il committente è soggetto passivo e 2) le operazioni avvengono tra un soggetto non stabilito nel territorio dell’Unione Europea ed un consumatore finale. Dal 1° gennaio 2015 l’Iva sarà dovuta nel paese di destinazione per le prestazioni di servizi prestati per via elettronica da soggetti passivi intracomunitari a consumatori finali. Ora se la norma era tesa a introdurre l’imposizione diretta in Italia alle multinazionali straniere per i profitti ivi introitati, forse agire sulla normativa Iva che è pressoché “armonizzata” a livello comunitario non è stata una scelta felice. Come avevo già anticipato nel precedente articolo, l’articolo 11 comma 3 regolamento n. 282/2011 ad esempio prevede che «il fatto di disporre di un numero di identificazione IVA non è di per sé sufficiente per ritenere che un soggetto passivo abbia una stabile organizzazione” e dunque il rischio che le multinazionali (soggetti a quanto parte bersagliati) alla fine riescano a non versare “l’obolo” tributario desiderato in Italia persiste. Inoltre non appare chiara la qualificazione del prestatore di servizi pubblicitari ai fini Iva. Tali tipologie di servizi secondo la regolamentazione comunitaria di imposizione fiscale indiretta Iva dovrebbe essere inquadrata come prestazione di servizi generici soggetta al meccanismo dell’inversione contabile (c.d.”reverse charge”). Con tale meccanismo applicabile negli scambi intracomunitari quando il cliente si dichiara consumatore finale il prestatore di servizi gli addebita l’Iva e quando il cliente si dichiara essere imprenditore o professionista l’Iva non viene applicata e dunque non si può detrarre. La web tax ora ritengo non tenga conto di questo regime comunitario (obbligatorio) e dunque affinché non risulti in contrasto con la normativa Iva comunitaria (art. 44 e 196 Dir. 2006/112/Ce) dovrebbe essere previsto che la fattura emessa dal soggetto prestatore di servizi pubblicatari on line non residente ma con identificazione Iva in Italia possa non indicare l’imposta sul valore aggiunto in modo che il reale debitore d’imposta risulti essere solo il committente domestico. L’imposizione fiscale diretta disomogenea crea sicuramente effetti distorsivi sul mercato in linea generale. E’ vero che in Italia siamo penalizzati da una elevata fiscalità imprenditoriale ed un elevato speculare tasso di evasione. Ma la “guerra” tributaria deve essere giocata tra stati europei puntando magari su politiche di attrazione dei capitali e degli investimenti in Italia con norme che rimangano “inalterate” per almeno alcuni anni onde poter rendere il nostro Paese maggiormente competitivo a livello tributario. Su questo evidenzio che l’Agenzia entrate con provvedimento n. 1490505 del 16 dicembre 2013 ha istituito un punto di assistenza (desk) dedicato agli investitori esteri che desiderino effettuare investimenti importanti in Italia ma che abbiano dubbi di applicazione sulla normativa fiscale italiana ed al contempo il Decreto legge per l’avvio del piano “Destinazione Italia” ha integrato le disposizioni in materia di ruling internazionale prevedendo la possibilità di richiedere in modo preventivo la sussistenza in Italia di una stabile organizzazione di un’impresa estera con accordi quinquennali tra fisco ed imprese. Rimane il dubbio che il ruling sia comunque applicabile anche ai fini Iva e non solo ai fini dell’imposizione fiscale diretta. Alcuni intravedono infine anche una limitazione alla libera circolazione dei beni, delle persone, dei servizi e dei capitali come misura di effetto equivalente a restrizioni quantitative nel mercato comunitario e dunque richiedono che: 1) si valuti con attenzione il comma 2 dell’art. 26 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea che recita “Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni dei trattati.” 2) il progetto normativo debba essere vagliato prima dalla Commissione Europea e dagli altri Stati membri come previsto dalla direttiva 98/34/CE prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche e che per “servizio” intende: “qualsiasi servizio della società dell’informazione, vale a dire qualsiasi servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi” e dove si intendono: — servizio a distanza»: un servizio fornito senza la presenza simultanea delle parti; — «servizio per via elettronica»: un servizio inviato all’origine e ricevuto a destinazione mediante attrezzature elettroniche di trattamento (compresa la compressione digitale) e di memorizzazione di dati, e che è interamente trasmesso, inoltrato e ricevuto mediante fili, radio, mezzi ottici od altri mezzi elettromagnetici; — «servizio a richiesta individuale di un destinatario di servizi»: un servizio fornito mediante trasmissione di dati su richiesta individuali”. L’interpretazione di tale aspetto può essere controversa anche perché la norma comunitaria prevede la libera circolazione dei servizi ma anche la libertà per ogni Stato membro di disporre come ritiene meglio in particolare modo in tema di imposizione fiscale diretta, laddove non vi siano norme comunitarie ed internazionali di riferimento. In particolare qui non si tratta di introdurre nuove norme fiscali ma nuovi modi di applicare le norme. Inoltre l’art. 395 della direttiva Iva ammette inoltre che qualora uno Stato membro desideri evitare evasioni o elusioni fiscali possa adottare la procedura che richiede l’unanimità dei ventotto Paesi comunitari (arduo obiettivo da raggiungere ma comunque possibile e lecito da richiedere). Non commento per questioni di spazio l’eventuale difficoltà che in ogni caso ritengo che si potrebbero riscontrare nella determinazione del transfer price ai fini del reperimento di indicatori di profitto differenti da quelli applicabili ai costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività, a meno di non ricorrere al ruling internazionale. In sintesi: 1) il governo della politica tributaria non è certamente facile in qualsiasi modo lo si intenda declinare; 2) il governo del web non può che essere democratico e diretto proprio dal “popolo digitale”; 3) le regole legali e tributarie devono tenere conto dei primi due punti ed essere vagliate con attenzione e tempo opportunamente dedicati perché i loro impatti non sono esclusivamente domestici ma mondiali.
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