Lo Studio n. 261-2013/B del Consiglio Nazionale del Notariato con l’intento di individuare i meandri del “sospetto” di riciclaggio al fine di attivare la relativa segnalazione, prende spunto dall’aumento delle segnalazioni di operazioni sospette avvenute negli ultimi due anni e distingue la nozione di riciclaggio prevista dalla normativa ad hoc (ovvero dal DLgs. 231/2007 aggiornato – c.d. normativa antiriciclaggio) e dagli artt. 648-bis e 648-ter del Codice penale.

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antiriciclaggioIn particolare le differenze principali si possono rinvenire dal reato presupposto:
– nella normativa antiriciclaggio: è costituito dal fatto che si sospetti o si sia a conoscenza che i beni provengano da un’attività criminosa che si stia attuando, si sia attuata o si tenti di attuare un’attività di riciclaggio di beni provenienti da reato. Si veda anche giurisprudenza in merito (Cass. 26 novembre 2009 n. 45643, Cass. 21 gennaio 2009 n. 2451, decalogo della Banca d’Italia, circolare n. 83607/2012 del Comando Generale della Guardia di Finanza, comunicazione UIF del 23 aprile 2012);
– nel codice penale: è costituito dal fatto che si sia a conoscenza che i beni provengano da un delitto non colposo e non considera l’autoriciclaggio che invece può essere considerato (quando l’autore del reato procede anche all’occultamento) integrazione del reato presupposto nella normativa antiriclaggio.
L’attività criminosa secondo l’interpretazione del Notariato dunque si esplicita anche se si ha il solo sospetto di un reato di entità tributaria, quando si pensa possano essere compiute violazioni di obblighi fiscali penalmente rilevanti.

Alcuna dottrina in passato invece aveva ritenuto non rientrante nel novero delle operazioni di riciclaggio il denaro derivante da evasione (ed elusione) fiscale in quanto non producente direttamente provento o aumento automatico del patrimonio.

Il notariato invece, sposando le ultime interpretazioni internazionali del GAFI, ritiene che l’ammontare di quanto evaso possa costituire il “profitto” o provento da reato ed in tale ottica vada considerato anche quale possibile reato presupposto del riciclaggio.

In particolare siccome ai fini fiscali sono considerati penalmente rilevanti le violazioni in materia di Iva ed imposte sui redditi (ex .DLgs. 74/2000), solo queste potranno rientrare nelle operazioni “sospette” mentre rimangono escluse le violazioni in tema di Irap e di altre imposte indirette.

L’ambito viene inoltre ulteriormente circoscritto su due fronti:
– tetto di rilevanza penale fissato per tali violazioni per il quale scatta la punibilità e per conseguenza l’eventuale segnalazione di operazione sospetta;
– individuazione dell’attimo in cui può interpretarsi che il reato tributario venga consumato (es. per l’omessa o infedele dichiarazione o la frode fiscale il momento in cui il reato di natura tributaria si perfeziona è la presentazione della dichiarazione dei redditi o la scadenza dei termini per presentarla senza che la stessa sia stata presentata).

Nella fase antecedente il compimento del reato tributario può dunque sorgere il sospetto, che dovrà tradursi però in generale nella relativa segnalazione unicamente quando vi siano indizi “inequivocabili” che portino ad integrare il reato tributario presupposto quale evento scatenante per dedurre che sul relativo provento si stia tentando o sia sia tentato di operare il riciclaggio (si veda anche Documento di ricerca Assirevi n. 147).

Quando i reati tributari siano già stati attuati ed i relativi vengano impiegati per acquistare altri beni il notaio, in particolare, dovrà effettuare le proprie deduzioni basandosi sui soli (ma completi) documenti che è tenuto a chiedere nell’espletamento delle proprie funzioni, non essendo obbligato a spingersi in profondità nell’indagare sull’esistenza di reati tributari pregressi.

Sulle condotte fiscali elusive, secondo la dottrina maggioritaria (si veda Cass., sentenza 28 febbraio 2012 n. 7739 e Cass. Sentenza 3 maggio 2013 n. 19100) le stesse hanno rilevanza penale quando siano direttamente previste dalla normativa (ex art. 37-bis del DPR 600/73), pertanto vanno escluse quelle derivanti dal principio generale di divieto di abuso del diritto nonché riconducibili ad imposte diverse da quelle sui redditi (dunque anche diverse dall’Iva) o se riconducibili alle imposte sui redditi, che non integrino operazioni elencate nell’art. l’art. 37-bis del DPR 600/73.

Qualora infine si proceda alla sottrazione fraudolenta del pagamento delle imposte (art. 11 del DLgs. 74/2000) la cessione di beni effettuata per evitare di pagare le imposte può integrare il reato tributario ma, secondo lo Studio del Notariato, non costituisce in generale un’attività di riciclaggio di beni provenienti da illecito fiscale a meno che i beni oggetto della cessione derivino da profitto di precedenti reati tributari poiché scaturenti da somme che sarebbero dovuto essere assoggettate a prelievo fiscale.
Nessun cenno è stato fatto infine nel caso di reati per omesso versamento.

 

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