Con la sentenza n. 17955 del 24 luglio 2013 (sotto riportata) la Cassazione è intervenuta a chiarire che il criterio del valore normale di cui all’art. 9 Tuir da applicare su corrispettivi ed altri proventi derivanti da cessioni di beni e prestazioni di servizi infragruppo debba essere applicato anche ai rapporti di diritto interno (non solo in relazione alle consociate estere – in merito al c.d. “transfer pricing esterno o internazionale”, disciplina speciale ex art. 110 c. 7 Tuir), tutte le volte che emerga da queste attività minore tassazione.
L’innovativa interpretazione interviene nel caso in specie nel godimento di agevolazioni territoriali derivanti dalle cessioni di beni poste tra la controllante e la controllata (che si trovava in area del Mezzogiorno in cui vi era un particolare beneficio fiscale territoriale).
Pertanto la cessione al prezzo inferiore al valore normale è stato interpretato come trasferimento di imponibile in questi luoghi nei quali vi era l’agevolazione per pagare meno imposte, comportamento noto come “transfer pricing interno” (ex C.M. 26 febbraio 99 n. 53).
Il trattamento del transfer pricing interno rispetto a quello esterno, chiarisce ora la Cassazione, non deve essere letto come fattispecie analoga ma come interpretazione antielusiva derivante dai principi europei in tema di abuso del diritto e più in generale nel diritto tributario internazionale.
Pertanto ogni qualvolta si presentino comportamenti antieconomici o privi di adeguati motivi di economicità (es. il ricarico mediamente applicato era del 10% mentre la vendita alla controllata presentava un ricarico del 4%), come previsto dall’art. 37-bis del DPR 600/73 l’accertamento fiscale sarà ritenuto più che legittimo, anche se la controllante ribadiva in questo caso che la differenza nel prezzo sarebbe stata imputabile in realtà a tentativi di espansione dell’attività, anche per conto della controllata dunque. Tali ragioni non sono state favorevolmente accolte.
Transfer price valore normale anche per quello domestico
Testo della sentenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza del 19 settembre 2006 la C.T.R. Lombardia ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della Soc. M., confermando il parziale annullamento dell’avviso di accertamento per maggiori imposte (IRPEG, ILOR, IVA) relative all’esercizio chiuso in data 31 dicembre 1999.
2. Per quanto qui interessa, a fronte del rilievo dell’antieconomicità del ricarico del 4% (in luogo di quello del 10,09%) applicato alle cessioni effettuate dalla contribuente alla controllata Soc. M. Sud, il giudice d’appello ha motivato la sua decisione sotto tre profili:
a) la controllata godeva si di agevolazioni per il Mezzogiorno, ma ciò non escludeva la legittimità di politiche aziendali dirette ad agevolare ulteriormente l’espansione dell’attività nel meridione d’Italia;
b) il ricarico minimo applicato dalla controllante alla controllata bene poteva rappresentare “strumento di incremento anche occupazionale e sociale oltreché aziendale”, con esclusione di qualsivoglia intento elusivo;
c) l’intero gruppo nulla aveva evaso, avendo effettuato legittime scelte “per il decollo dell’attività in zona svantaggiata”.
3. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’Agenzia delle Entrate; la contribuente resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con il primo motivo, denunciando difetto di motivazione (art. 360, n. 5 c.p.c.), la ricorrente fondatamente rileva che il meccanismo elusivo, contestato dall’Ufficio nei rapporti tra società italiane, è nei fatti simile a quello previsto dal TUIR, art. 76 (ora art. 111), per i rapporti di controllo tra società residenti nello Stato e società non residenti, secondo il generale principio del valore normale di mercato (art. 9) quale spia dell’intento elusivo dinanzi a comportamenti antieconomici del contribuente. Nella specie, gli snodi probatori, addotti sul piano logico e circostanziale a giustificazione della ripresa a tassazione, sono stati effettivamente del tutto trascurati dal giudice d’appello nello scarno apparato argomentativo della decisione di secondo grado.
5. In particolare, con specifico riferimento a tutto quanto trascritto in ricorso per autosufficienza, si riscontrano sia l’omesso esame dell’andamento degli utili della controllante e della controllata negli anni 1998/2001, sia l’omessa valutazione del ricarico del 6,57% che, riconosciuto nel ricorso introduttivo come il minimo economicamente gratificante, era si inferiore a quello indicato dall’Ufficio ma comunque superiore a quello (4%) concretamente applicato dalla Soc. M. alla Soc. M. Sud (controllata al 100%), prima della sua incorporazione nel 2002.
6. Dunque, mancando finanche graficamente qualsivoglia esame motivazionale dei rilievi del Fisco, il primo motivo va accolto.
7. Con il secondo motivo, denunciando la violazione dell’art. 9, comma 3 TUIR, la ricorrente fondatamente sostiene che, con la laconica affermazione “l’intero gruppo nulla ha evaso”, il giudice d’appello non ha tenuto conto che il criterio legale del valore normale delle operazioni infragruppo rileva non solo nei rapporti internazionali di controllo, ma anche in analoghi rapporti di diritto interno, ogniqualvolta con la fissazione di un prezzo fuori mercato si miri a far emergere utili presso la società del gruppo che sconta, anche per agevolazioni territoriali, la più bassa tassazione.
8. Il fenomeno giuridico ed economico dei gruppi aziendali operanti in collegamento nel territorio dello Stato, almeno sino all’introduzione del cd. “consolidato nazionale” nell’ordinamento tributario, ha raramente ottenuto riconoscimento nel sistema fiscale (es. D.P.R. n. 602/1973, art. 43-ter; TUIR, art. 84, comma 3, già art. 102 comma 1-ter; d. IVA, art. 73 comma 3), il che ha comportato il diffondersi di operazioni aziendali di tipo difensivo che, nate per la più conveniente allocazione dell’imponibile tra le società associate in Italia, sono sfociate in vere e proprie operazioni elusive.
9. Tra esse rientrano le manovre sui prezzi di trasferimento interni, motivate dalla convenienza, in ambito nazionale di trasferire la materia imponibile, agendo sui prezzi negoziati per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi “intercompany”. Si tratta del fenomeno del cd. “transfer pricing domestico”.
10. Lo strumento é normalmente utilizzato da società controllanti o collegate, con sede nei territori del Centro-Nord, che cedono merci o beni immateriali alle controllate o consociate aventi sede nel Mezzogiorno ad un prezzo inferiore al valore normale cosi come definito dall’art. 9 cit.. Tali manovre, secondo le determinazioni dell’amministrazione finanziaria, consentono di realizzare una contrazione dell’utile per l’impresa settentrionale con reddito assoggettato alle aliquote ordinarie e di “gonfiare” l’utile dell’impresa meridionale che gode delle agevolazioni fiscali stabilite dall’art. 26 D.P.R. n. 601/1973 (Circolare del 26.2.1999 n. 53).
11. In estrema sintesi, si attuano in ambito nazionale le medesime forme di politiche sui prezzi, attuate assai di frequente in ambito internazionale mediante transazioni infragruppo inferiori (o superiori) al loro valore normale, onde spostare l’imponibile presso le imprese associate che, nei rispettivi territori, godono di esenzioni fiscali e subiscono minore tassazione.
12. Sul piano dei rapporti internazionali infragruppo è intervenuto da tempo il modello di convenzione OCSE (art. 9, §I) recepito nel nostro ordinamento tributario dal TUIR col combinato disposto dell’art. 110 comma 7 (ex art. 76) e dell’art. 9 comma 3 che, riguardo alle negoziazione “intercompany” con aziende non residenti, abilita il Fisco italiano a disattenderne prezzi e corrispettivi, in virtù del valore corrente dei beni e/o servizi scambiati, e a rettificare i dati reddituali con aumento dell’imponibile (cfr. da ultimo Cass. n. 11949/2012).
13. La specialità della disciplina nazionale sul “transfer pricing esterno o internazionale”, originata dal modello di convenzione OCSE ispirato al principio della libera e corretta concorrenza, fa si che l’art. 110 TUIR (ex art. 76) non possa di per sé stesso trovare applicazione diretta al “transfer pricing interno o domestico” (cfr. anche Circ. cit.).
14. Tuttavia, si è ritenuto che la disciplina che regola il “transfer pricing internazionale”, secondo cui i componenti di reddito derivanti da operazioni “intercompany” con società non residenti sono valutati in base al “valore normale” dei beni ceduti, dei servizi prestati e dei beni ricevuti, determinato ex art. 9 cit., costituisce una clausola antielusiva che non solo trova radici nei principi comunitari in tema di abuso del diritto, ma anche immanenza in settori del diritto tributario nazionale (Cass. n. 22023/2006).
15. Invero, i principi antielusivi diretti a evitare che all’interno di gruppi di società siano effettuati trasferimenti di utili mediante l’applicazione di prezzi inferiori al valore normale dei beni ceduti, onde sottrarli alla tassazione ordinaria a favore di tassazioni agevolate territoriali, trovano radici sia nei capisaldi comunitari sull’abuso del diritto (Cass. n. 10257/2008, n. 8772/2008; C.G. sul caso H.), sia nelle clausole antielusive di diritto interno predisposte in via generale (cfr. TUIR, art. 9, sul “prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni o servizi della stessa specie o similari in condizioni di libera concorrenza ed al medesimo stadio di commercializzazione” ) o per ipotesi e settori peculiari (es. art. 10 L. n. 408/1990 sui vantaggi fiscali da operazioni societarie; art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973 su talune fattispecie elusive).
16. Inoltre, vale sempre il principio cardine secondo cui, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia e privo di adeguata spiegazione, è legittimo l’accertamento del fisco (art. 39 D.P.R. n. 600/1973 e art. 54 D.P.R. n. 633/1972; cfr. Cass. n. 1821/2001, n. 10802/2002, n. 23634/2008; v. sull’antieconomicità delle percentuali di ricarico Cass. n. 20832/2005, n. 21575/2005, n. 23183/2005, n. 1546/2007 e, riguardo all’IVA, Cass. n. 26167/2011).
17. Come si è esattamente sostenuto in dottrina, riguardo alle manovre “intercompany” sui prezzi di trasferimento interni, la giustificazione dovrà ricadere sul versante delle valide ragioni economiche (analogamente a quanto richiesto dall’art. 37-bis D.P.R. n. 600/1973), nella prospettiva di togliere ai vantaggi fiscali “sistematici” la patina di elusività.
18. In tesi generale, non si può escludere che considerazioni di strategia generale inducano le imprese a compiere operazioni di per sé stesse antieconomiche in vista ed in funzione di altri benefici. Tuttavia occorre che le varie operazioni rispondano a criteri di logica economica, i quali, a loro volta, devono essere funzionali a meccanismi di mercato in regime di libera concorrenza (“arm’s lenght principle”), giammai a elementi distorsivi del mercato e della concorrenza. Sicché la finalità di risparmio non può attuarsi semplicemente attraverso l’elusione degli oneri fiscali (Cass. n. 10802/2002).
19. Ciò introduce il tema del divieto di abuso del diritto, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei a ottenere agevolazioni o risparmi d’imposta, in difetto di ragioni diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio, da un lato, trova fondamento in radici comunitarie a salvaguardia delle risorse proprie dell’UE e nei principi costituzionali di capacità contributiva e imposizione progressiva; dall’altro, non contrasta con il principio della riserva di legge, traducendosi nel disconoscimento di effetti abusivi di negozi posti in essere allo scopo di eludere l’applicazione di norme fiscali (cfr., sui tributi non armonizzati, SS.UU. n. 30055/2008 e, sull’IVA, Cass. n. 6880/2009 e n. 4503/2009; v. anche C.G., 9 giugno 2011, n. 285, sul prezzo normale di mercato tra soggetti collegati).
20. Ne discende che, per la valutazione fiscale di varie prestazioni, costituenti anche componenti attive e passive del reddito, deve essere applicato il principio, di carattere generale, stabilito dall’art. 9 cit., che non ha soltanto valore contabile, e che impone quale criterio valutativo il riferimento al normale valore di mercato per i corrispettivi presi in considerazione dalla parte contribuente (Cass. n. 10802/2002). Né vale, di per sé stesso, invocare una peculiare scontistica infragruppo, poiché gli sconti ammessi sono solo quelli per le operazioni concluse “in condizioni di libera concorrenza”, ovverosia per le operazioni economiche concluse con soggetti estranei al proprio gruppo economico (cfr. Cass. n. 7343/2011 sull’art. 9 TUIR).
21. Conclusivamente, anche il secondo motivo deve essere accolto e, in ordine ad esso, si formula il seguente principio di diritto: «Per la valutazione a fini fiscali delle manovre sui prezzi di trasferimento interni, costituenti il cd. “transfer pricing domestico”, va applicato il principio, avente valore generale, stabilito dall’art. 9 del D.P.R. n. 917/1986, che non ha soltanto valore contabile e che impone, quale criterio valutativo, il riferimento al normale valore di mercato per corrispettivi e altri proventi, presi in considerazione dal contribuente».
22. Accolto il ricorso e cassata la sentenza d’appello, la causa deve essere rimessa, anche per le spese, alla commissione regionale competente che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame della vertenza valutando analiticamente i dati fattuali sopra indicati e attenendosi all’enunciato principio di diritto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza d’appello e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla C.T.R. Lombardia in diversa composizione.
